Ogni nuovo inizio porta sempre dietro con sé qualche strascico: il 2021 ne dà prova schiacciante. Solo qualche giorno per coniare nuove pagine di storia che oscillano tra il tragico e l’esilarante.

L’ormai ex Presidente Trump incita un tacito attacco alla più storica democrazia del mondo e i suoi seguaci, dediti alle sue costanti difese, distruggono il cuore della politica americana con la reiterata questione delle elezioni rubate.  ‘Vi vogliamo bene, siete speciali’ risponde lui, mentre lo sgomento è la sola risposta che arriva da ogni paese.

Non molto dopo il probabile appello al 25esimo emendamento della Costituzioneamericana – per l’immediata rimozione di Trump – e la possibilità del temuto impeachment, che iniziano a concretizzarsi tra Camera e Senato, qualcuno dell’amministrazione trumpiana corre ai ripari lasciando sul tavolo le dimissioni.

Zuckerberg blocca gli account di Trump

Nell’era del potente pensiero digitale e della E-democracy  non può che fare scandalo tanto quanto l’assalto al Congresso, che il gigante fondatore di Facebook (nonché acquirente di Instagram), Mark Zuckerberg, abbia deciso di bloccare gli account social dell’ex Presidente, motivando personalmente la scelta, e definendo i suoi servizi i mezzi con cui siano stati fomentati i violenti animi estremisti.

Riportando l’attenzione agli inizi della campagna elettorale contro Joe Biden, Trumpnon ha mai smesso la prosecuzione della sua arrogante campagna social volta all’instaurazione nella mente degli americani di poter davvero essere i veri difensori di una patria che necessita di essere great again, soprattutto dei componenti di gruppi già noti alle forze dell’ordine quali QAnon, Proud Boys e Patriot Prayer.

In passato i social media sono stati spesso accusati, da gruppi di attivisti democratici americani (es. Stanford Internet Observatory), di non essersi attivati mai abbastanza per fermare l’odio dilagante sulle loro piattaforme. Tuttavia in questa occasione non si sono fatti attendere procedendo in alcuni casi anche a ban definitivi degli account social.

Non da meno i colossi del web come Twitter, che prima per ventiquattro ore e poi a tempo indeterminato ha limitato la possibilità di espressione al Presidente; accodandosi anche YouTube, che ne ha oscurato i contenuti inerenti. I più importanti baluardi di internet confermano quindi la potenza raggiunta con un gesto mai fatto prima: privare l’utilizzo dei loro spazi – considerati luoghi di esercizio di libertà quotidiana per gli utenti di tutto il mondo – ad un Presidente, che nel bene o nel male, è stato democraticamente eletto.

I social dei giusti?

La garanzia di libertà fondamentali, come quella di parola e pensiero, , sembra ad oggi essere affidata più ai social che a qualsiasi Corte giudicante. Viviamo una democrazia moderna sì, ma ambigua. Una e-democracy delle Big-tech pronte a fermare un presidente con master in provocazione e, molto meno, migliaia di utenti che violano quotidianamente il codice delle social rules. Un blocco mediatico che pesa ancor di più a guardare il momento in cui è scattato: un mandato agli sgoccioli per Trump e un nuovo Presidente, Joe Biden, pronto ad insediarsi a breve, con il maggior numero di voti ottenuti nella storia delle elezioni presidenziali USA.

Zuckerberg nel suo messaggio, conoscendo l’ingerenza trumpiana tra gli americani, ci dice che la sua misura di protezione è necessaria poiché non è possibile continuare ad ostacolare con l’odio un’elezione democraticamente vinta.

Politically correct a convenzienza o giusto garantista dei suoi mezzi?

I buoni social media della democrazia 2.0 sembrano operare con diversità di trattamento.

L’opinione pubblica si divide, la stampa anche.

Gli oppositori, entusiasti, si perdono tra pareri e ironie del web.

I leader politici di parte s’indignano a colpi di tweet mentre si temono nuove insurrezioni da parte dei sostenitori estremisti.

I trumpiani non sembrano avere pace, e i Dem non sembrano potersi godere la vittoria.

I poteri dei colossi del web

La giustizia di queste grandi multinazionali di internet arriva anch’essa tardi, i perché sono tanti e in attesa di essere soddisfatti.

Durante le proteste del movimento Black Lives Matters, le affermazioni di Trump non sono mai state meno gravi di quelle di adesso ma appellandosi alla garanzia dei diritti e all’autorevolezza della carica presidenziale, nessun big founder ha mosso il dito per la censura di frasi come ‘when the looting starts, the shooting starts.

Dalle uccisioni di George Floyd a Breonna Taylor, la valenza degli attacchi civili, della devastazione e dell’istigazione alla violenza più cruda è la medesima di quella prodotta al Congresso.

La televisione

Le censure però, non si sono fermate ai social media. Già con l’uscita dei primi risultati delle elections 2020, la rete televisiva FoxNews  – fedele sostenitrice dell’animo trumpiano– aveva interrotto in diretta la conferenza in cui il presidente sosteneva i brogli elettorali di controparte: ‘Dice il falso. Non ci sono prove dell’irregolarità elettorale’. L’interruzione avvenne quando ancora mancavano molti voti a decretare la vittoria ufficiale, ma i voti registrati erano già abbastanza a confermare il vantaggio Biden-Harris.

Dalle reti televisive ai social media, oscurare il presidente Trump è stato un colpo raro ma di molti.

Nuovi venti per i social?

Che Twitter sia il mezzo più utilizzato dai politici della e-democracy lo sa il mondo intero. Allo stesso modo, tutte le raffinate menti digitali sanno bene che l’utilizzo di Twitter è cresciuto proprio in questi tempi in cui fare scandalo con le dichiarazioni online sembra incrementare la potenza social, le visualizzazioni, gli accessi, i click e i guadagni.

L’attore Sacha Baron Cohen, che dopo film come Borat e il dittatore ha consacrato un enorme successo mondiale e soprattutto negli Usa, ha definito i ban sopraggiunti a Trump: ‘il momento più importante nella storia dei social media’, rendendo impossibile sostenere il contrario.

Ciò che è accaduto potrebbe ripetersi anche in futuro…e che siano le potenti aziende private a fare giustizia sociale dice molto dei nostri tempi.

Le più disparate opinioni ci sopraggiungo dalle homepage di tutto il globo. Giusto o sbagliato, democratico o meno, l’atto è compiuto e non sembra altro confermare che nella gerarchia dei veri poteri, i social si apprestano a raggiungere il gradino più alto.

 

Rosy Marcantonio